“La terza guerra mondiale” è stato una piacevole sorpresa di questo weekend, intrisa di cinismo e chitarre roboanti, di brani viscerali e diretti, un concept album consapevole e beffardo che non ammette mezze parole.
Gli Zen Circus sono tornati, dopo gli album solisti di Appino, con tutta la carica di qualche anno fa quando “Nati per subire” portava avanti l’ironia amara che ci aveva lasciato basiti già con “Andate tutti affanculo”. Stessa carica ma suoni diversi. C’è il primo singolo “L’anima non conta” che non ci aveva convinto, che suonava più Appino che Zen Circus, più pop o forse solo citazionista, magari più soul come suggeriscono loro stessi. Per fortuna non ci siamo fermate e abbiamo contestualizzato. Dalla prima canzone, la title track, la band mette a tacere i benpensanti: ci vorrebbe una guerra mondiale per tornare a guardarci negli occhi, a collaborare, a lavorare, a distinguere i nemici dagli amici con cui farci i selfie in uno scenario post apocalittico.
I testi di Appino non ammettono melodramma ma puro realismo, talvolta tagliente come quando parla di zingari da ammazzare “Zingara (il cattivista)” e di città di merda in cui continuare dritti per una strada senza alternativa “Pisa merda”. I suoni sono punk rock, non all’italiana, meno folk, con le chitarre effettate che scalzano le tastiere. La terza guerra mondiale è quella violenza che cerchiamo, quei calci in culo che non abbiamo il coraggio di tirare e che allora sfoghiamo a brutte parole sui social e in privato, senza muovere un dito ma ascoltando tutti la stessa canzone tranquillizzante alla radio e alla tv.
Gli Zen Circus ti fottono fino alla fine perché anche l’ultima traccia “Andrà tutto bene” ti fa capire che non andrà bene un cazzo.