Riccioli scomposti, sguardo intenso e un primo album dal titolo “Disco” che sa di anni ’80 e di salsedine. In attesa di vederlo in una delle due date di presentazione dell’album – a Roma il 24 novembre a Le Mura e il 25 novembre all’Ohibò di Milano – lo abbiamo intervistato a proposito delle sue origini e dei suoi sogni.
Ciao San Diego, piacere! Sai abbiamo tentato di scoprire qualcosa in più su di te ma non è molto appagante digitare “san diego disco” su google! Perciò cominciamo dall’inizio. Quando e dove sei nato? Sono nato a Napoli nell’era Maradoniana.
Tra le tue influenze c’è sicuramente un certo pop di fine anni ‘80 ma anche tanti cantautori di oggi, da Calcutta, Cosmo, a Giorgio Poi. Come ti definiresti? Mi piace di più che siano gli altri eventualmente a fare accostamenti o definizioni, anche perché non saprei darmi una collocazione precisa. Le influenze sono molte e non solo musicali, i riferimenti attuali forse minori rispetto al passato ma quelli da voi citati sono comunque tutti bravissimi.
Cosa ascoltavano i tuoi genitori quando eri piccolo? Principalmente rock e cantautori. Quelli che ricordo di più sono Pink Floyd e Ivan Graziani, ma ce n’erano tantissimi altri. C’era anche un disco jazz che ho letteralmente consumato in tenera età e conosco ancora a memoria, era una compilation che aveva come prima traccia un pezzo clamoroso di Bill Evans, “How Deep Is The Ocean?”.
La scelta di chiamare il tuo esordio “Disco” rimanda subito a “Album” di Ghali. Quale necessità spinge a rimanere vaghi? In realtà non volevo rimanere sul vago, ma nessun titolo preso in considerazione rendeva fattivamente l’idea del contenuto. All’inizio erano pezzi che venivano fuori e man mano venivano pubblicati su youtube, quando poi è nata l’esigenza di racchiudere il tutto e renderlo più concettuale mi è sembrato giusto chiamarlo per quello che effettivamente era diventato, un Disco.
Ci sembra che “Disco” dia voce ai pensieri di un ragazzo di oggi in spiaggia, preoccupato del tempo che passa o di un amore. Qual è stato il processo creativo alla base di queste tracce? Magari davvero è nato un’estate al mare? L’idea di fondo del progetto è nata da pensieri marittimi ed eterei che mi piaceva contrapporre con la plastica degli ’80 e ’90, le nostre visioni consumistiche e fantasmi di un’estetica pubblicitaria capitalista, che è oggi solo più camuffata. Direi quindi che un’estate al mare può c’entrare come pretesto attuale per esprimere un’atmosfera rarefatta in cui viviamo, e più che al passato ho provato a spingerla all’eccesso.
Da quanto tempo erano pronti i brani? La tracklist è praticamente l’ordine cronologico e naturale dei pezzi scritti negli ultimi mesi.
E poi cosa è successo? Hai cominciato a proporti a varie etichette? No, diciamo che non è da me bussare porte. Dopo un paio di pezzi fuori i “regaz” di Stradischi mi hanno proposto di lavorare con loro e mi ha subito convinto l’entusiasmo di chi come me ha appena iniziato un percorso.
Ho fatto qualche data tra Emilia Romagna, Puglia, Trentino, Basilicata, Toscana, Umbria e Lazio. E’ stato bello, come inizio non mi posso lamentare.
Abbiamo visto che in novembre ti esibirai in due release party a Milano e Roma. Pensi di cominciare il tour poi? Hai già pensato a come rendere in live “Disco”? Sì, dopo le due presentazioni da gennaio porteremo un po’ in giro il disco live, grazie ai ragazzi di Panico Concerti. Per ora siamo un trio, con me suonano sin dagli albori del progetto Andrea Messina e Antonio Calitro, due ottimi polistrumentisti
Chi sono i tuoi miti musicali? Non ho mai pensato a chi fossero i miei miti, ti dico i primi mostri a caso che mi vengono in mente: Charles Mingus, Talking Heads, Mike Patton e Lucio Battisti. E Drake.
E a X Factor? No.
E dove ti vedi tra due anni? Esattamente qui, mentre rispondo ancora a queste domande.