MUDIMBI ci parla dell’album “Michel”, del Red Bull Culture Clash e di come si può avere paura della ripetitività ma contemporaneamente vivere in provincia 👊🏾
Sei cresciuto a San Benedetto del Tronto, vivi ancora lì?Sì, sono nato qui e sto facendo di tutto per restarci. Non che sia particolarmente legato alle mie radici o abbia intenzione di emulare l’immobilità di una pianta ma, per il momento, sto bene dove sto, ho il tempo e il modo di concentrarmi su quello che devo fare e farlo al meglio in un posto che conosco come le mie tasche e che mi dà tutta la tranquillità e lo spazio di cui ho bisogno e poi resto anche solo per il gusto di far dire alla gente cose tipo “Bè, ma se vuoi sfondare con la musica non ce la farai mai dalla provincia. Devi andartene a Milano.”
Come hai iniziato a fare rap? Ho iniziato col rap per sbaglio, perché cercavo qualcosa da fare, che mi identificasse come giovane (sai da ragazzini, tutti vogliono essere qualcosa prima ancora di essere qualcuno) e il rap era lì a portata di mano. Non ti nascondo che ho impiegato un bel po’ d’anni prima di iniziare a prenderci davvero la mano, all’inizio ero una schiappa, ma per la forza della perseveranza (e perché non è che avessi di meglio da fare) alla fine i risultati sono arrivati.
Warner si è accorta di me grazie a Spotify. “Michel”, il mio album, è composto da 12 tracce. Qualche giorno dopo l’uscita ci siamo trovati 5 delle 12 tracce nella Viral Top 50 Italy, il che affatto non è male direi. Va da se che i radar di mamma Warner ci abbiano individuato e fatto la proposta di matrimonio.
Al rap hai mischiato in questi anni vari generi, dalla techno alla trap. Non senti l’esigenza di legarti a una scena? Assolutamente no. Sparatemi con un fucile da cecchino se mai dovessi farlo. Anche se in realtà sono certo che non accadrà mai perché ho paura della noia e della ripetitività, e questo mi terrà sempre lontano dal legarmi saldamente ad una scena o ad un genere. L’unica cosa a cui sono legato e di cui sono certo sono io, una volta capito questo, posso permettermi di sperimentare qualsiasi cosa.
Il tuo rap parla di serate nei club, di donne e droga ma è sottile, ironico, pieno di doppi sensi e citazioni. E’ più l’impegno o il divertimento nel creare queste rime incastrate? Bella domanda! Soprattutto perché è la prima volta che mi viene posta. 50 e 50. C’è la parte dei cosiddetti tecnicismi dove ti metti lì, conti le sillabe, vuoi incastrare questo con quello che poi si incastra a sua volta due righe dopo con quell’altro e non se ne accorgerà mai nessuno se non tu che la stai scrivendo. Poi c’è la parte dell’ispirazione che non sai né quando né da dove arriva, ma soprattutto non sai quando se ne andrà. È un insieme di questi fattori ma, più vai avanti, più tutto diventa automatico Questo non significa che, se voglio, il modo di farmi venire un esaurimento nervoso nel tentativo di scrivere l’incastro più epico della storia non lo trovi.
“Michel”, oltre ad essere molto eterogeneo, è intriso di campionamenti interessanti. Dove peschi i tuoi sample? Oh per questo stai parlando con la persona sbagliata. Avresti dovuto chiedermi “Dove peschi i tuoi produttori?”, perché sono loro a fare tutto il lavoro dietro le quinte. A volte do il mio apporto minimo, se penso che qui ci starebbe bene un motivetto piuttosto che una ritmica lo dico e facciamo delle prove, ma il grosso del lavoro e del merito va a chi la traccia l’ha prodotta.
Ci metti una vita a scrivere le canzoni vero? Tra la prima e la seconda strofa di “Schifo” dici che sono passati 8 anni. Come cambia un ragazzo in tutto questo tempo? Dipende, ho scritto canzoni anche in 30 minuti (ricordi la storia dell’ispirazione di cui parlavo poco fa?). A volte però capita di non avere più nulla da dire e lasciare le strofe lì, a metà, per 8 anni. Quando vai a riprenderle ti rendi conto di una cosa positiva e di una negativa. La positiva è che nonostante il tempo, quello di cui parlavi nella canzone è ancora valido, attuale, sei ancora tu, il che significa con non scrivevi minchiate. La cosa negativa invece è che ti accorgi di non riuscire più a scrivere con quelle metriche e ti viene il dubbio che la demenza senile si stia impossessando di te.
Uno dei tuoi primi videoclip è stato “Tutto esaurito” e di acqua sotto i ponti ne è passata, da “Pistolero” fino a “Schifo”. Ma quale stile registico ti rappresenta di più? Empatia è quello che mi rappresenta di più. A me piace stupire, sbalordire (e a quanto pare anche usare sinonimi), ma più di tutto mi piace far ridere e quando in un video come Empatia, mettiamo in piedi classici del cinema e della TV, ma in stile Mudimbi, so già che è un goal a porta vuota.
Abbiamo visto la tua faccia in questi mesi in giro per le città! La tua foto in copertina dove è stata scattata? Dove l’hai ritrovata? Quella foto l’ho trovata, se così si può dire, sul comodino di mia madre. È lì da sempre ed è come se avesse fissato nel tempo quel punto preciso della mia infanzia e poi una piccola parte di me non sia mai cresciuta, ma sia rimasta lì, sul quel comodino, a guardarmi crescere.
Raccontaci del mondo dentro al booklet di “Michel”. È partito tutto dal fatto che odio i dischi fisici, quindi mi sono ingegnato per creare qualcosa che almeno abbia uno scopo, una sua utilità. Devo ammettere che l’immagine di copertina, legata al mio modo di scrivere, mi hanno aiutato molto nel decidere di realizzare un album che sembrasse a misura di bambino, pur non essendolo affatto (più di una volta ho dovuto bloccare ignari genitori che stavano per dare il fumetto ai loro bambini, col rischio che gli si bloccasse la crescita)
Da poco c’è stata Red Bull Culture Clash a Milano dove sei stato mc, chi conoscevi già personalmente della scena? Sai, mi rendo conto che conosco un sacco di gente … ma non mi è ancora chiaro come ahahah. Praticamente tutti, conoscevo davvero tutti!
Chi ti ha stupito musicalmente? E qualcuno invece ti ha fatto incazzare? Bè la squadra di Macro Marco mi ha fatto davvero volare in più situazioni, ma devo ammettere che anche Hellmuzik ha fatto altrettanto. Un momento su tutti, lo special di Salmo su 1984: stavo piangendo dalla gioia. Incazzare?! Era una festa!