È appena uscito “Biglietto di solo ritorno“, il primo album di Gio Evan, poeta, viaggiatore, performer, con un libro best seller e più di 300 mila follower su Instagram e un nuovo sogno, collaborare con Stromae. Ha deciso di mettere le sue parole in musica, per arrivare al cuore di più persone e i suoi primi due singolo su Spotify dimostrano che ci ha visto giusto. Qui la nostra intervista 😉
E quindi.. ti dicevano che non avresti mai combinato niente?
Continuamente. Da piccoli si è spontaneamente sovversivi e poco acconsenzienti ed è difficile trovare occhi che ti vedono come un promettente. È difficile ottenere fiducia e conforto dagli altri, quando non riesci a stare bene nel mondo in cui hanno scelto di vivere.
Dove sei cresciuto?
Ho cambiato molte case da piccolo, sono nato in puglia, poi trasferito a Rimini e poi cresciuto in Umbria fino ai diciotto anni.
Raccontaci cosa è successo in Sud America e come sei diventato Gio Evan.
Quando attraversi tutto (o quasi) il Sud America in bicicletta cosa vuoi che accada? Accade la vita, gli incontri, i cambiamenti, gli amori e le tristezze, i silenzi e la musica alta, sorprese ed imprevisti. Gio Evan già lo ero, mentre il nome viene da uno sciamano, che, presomi a cuore, decise di iniziarmi alla via dello sciamanesimo. Da qui avvenne pure il mio secondo battesimo: Gio Evan.
L’anno della svolta per la tua carriera è stato il 2014?
Nel 2014, ebbi la consapevolezza che il mio pensiero, il mio modo di vivere, la mia scrittura e il mio atteggiamento potevano benissimo diventare un mestiere. Fu l’anno in cui, saldatomi in Italia, iniziai a interpretare le mie poesie, a raccontare l’esperienza dei miei viaggi e stringere relazioni con l’umanità, che fino ad allora, avevo evitato.
Abbiamo ascoltato in anteprima il tuo album “Biglietto di solo ritorno”. Sai, ci saremmo aspettate un cantautorato voce e chitarra, invece hai giocato molto con i suoni. La prima parte del disco mescola vari generi, è molto pop con tanta elettronica, la seconda parte invece è recitata su vari basi, da una fisarmonica al pianoforte. Tu come sei entrato in contatto con la musica?
La tua impressione sul cantautorato non è affatto sbagliata. Io stesso mi aspetto da me un cantautorato. Ma chi mi segue conosce bene il valore che do al saper sorprendersi continuamente. E io ho voluto sorprendermi, come sempre. E continuerò a farlo, perciò non affezionatevi al genere che faccio ora, perché domani cambierà ancora.
Ho iniziato a strimpellare la chitarra in Argentina, sentivo che molte cose che scrivevo avevano voglia di essere cantate, così iniziai a scrivere canzoni. Ora suonare la chitarra e improvvisare parole è diventata una mia forma di meditazione. E così che nascono le mie canzoni
Ti sei ispirato a qualche autore particolare per questo album?
Mi sono ispirato all’esperienza degli Anudo, band che ha prodotto musicalmente tutti i miei brani. Conoscendo da prima i loro lavori, mi sono fidato ciecamente di loro. Ogni canzone comunque è passata prima dalla mia conferma, e dalla mia idea di musica. Non ci sono artisti terzi a cui abbiamo appoggiato ispirazione, forse l’unico è Stromae. Confesso di avere come obiettivo una collaborazione.
Come mai hai deciso di fare un album doppio? Escluse le canzoni che ovviamente vengono da tuoi libri, gli altri testi quando sono nati?
Non avevamo voglia di separare la poesia dalla musica. Io, come ho detto sempre, mi sento scrittore e poeta, capace di fare altro e tutt’altro, ma comunque metterci in mezzo sempre il mio atteggiamento: la poesia. Il doppio disco è un’unità perfetta, troviamo la lettura e il cantato, sono due stampi diversi dello stesso impasto.
Di quest’album qual è il testo più vecchio? E quello più recente che hai scritto?
Il più vecchio è posti, è un brano che avevo scritto da tempo e che racimola ricordi antichi. Il più fresco è infinit. È l’ultimo brano che ho scritto per il disco.
C’è qualche artista del mondo della musica italiana che ti piacerebbe portare con te sul palco?
Posso dirti, se vuoi, chi stimo profondamente: Caparezza, Bollani, Jovanotti.
Per esempio cosa ne pensi de Il Teatro degli Orrori, di Brunori Sas, dei Massimo Volume?
Massimo Volume non li conosco artisticamente, chiedo scusa. Brunori penso stia facendo un lavoro spettacolare, è quello che serve davvero oggi in Italia, personalmente, lo amo.
Il teatro degli orrori tanto di cappello, hanno una poetica che mi spacca il cuore. Mi mancano un sacco.
Hai girato il mondo. Dove stai vivendo in questi mesi?
Adesso diciamo che ho due case, una in Umbria e una nelle Marche. Entrambi in paesi piccoli, penso che messe insieme non arriviamo nemmeno a 30 mila abitanti.
Il 6 maggio sarai a Milano. Cosa ci dobbiamo aspettare da questo tour?
Mostrerò la parte che fino ad ora avevo tenuto nascosta: la musica, e con lei anche i salti, il sudore e la voglia di liberarsi da tutto. Ma, senza privarmi della tenerezza, del mio approccio con la vita, della poesia, e dei miei immancabili aneddoti.
Qual è il tuo pubblico?
Il mio pubblico è quella parte di umanità che si fa domande sulla vita, che ricerca continuamente i sensi, i perché i come e i tutti. È quella parte che ha capito che è l’amor che move il sole e le altre stelle. È quella parte che crede ancora, e che tra cuore e apparenza, sceglie tutta la vita il cuore.
Se fossi imperatore del mondo per un giorno, quali sono le prime tre cose che faresti?
Distruggerei leggi e materiali che comportano un fine di guerra, abolirei qualsivoglia strumento che impedisce l’aria e l’acqua ad essere pulita e chi non è libero lo sarà, e chi non è capace di stare al mondo senza seguire le leggi dell’armonia, avrà terra abbondante e spazi larghi su cui meditare.
Se mi ci rimane un po’ di tempo, offro una birra a tutti.